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Immagine del redattorePier Paolo Piscopo

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Aggiornamento: 25 lug 2018


Quando un'epoca apre le fauci in segno di fame, non è un'epoca di pecore ma di angeli che sorvolano macerie di realtà vissute, giudicate e abbandonate, perché giunte alla fine; lo scatenamento di una verità interiore, la completa liberazione di un temperamento, l'esigenza di se stessi. Ciò che non posso fare nella realtà lo faccio in Arte, è la summa teologica: faccio quello che voglio, quando voglio, come le cose le vedo, come le sento. Se qualcosa trasborda nella realtà... beh è inevitabile!


Quando l'esigenza è se stessi me ne frego delle figure e dei bei volumi, i chiaro-scuri del cazzo e i paesaggi che sfumano all'orizzonte, con la fottuta prospettiva, a cosa mi servono se ho fame di Donna, strapparla dalle vesti di se stessa, dalla sua recita, a morsi, le gambe, mangiarle le mani, con tutte le braccia, inghiottirne le labbra, soffocarmi con i seni, ho voglia della sua Carne. Quindi, a me, a che mi serve farvi vedere che so disegnare? Vi andate a comprare una stampa teste di cazzo; l'esigenza è un'altra, è quella di aprirsi le costole del petto e comunicare quello che si ha dentro. L'esigenza è la sintesi. Potete giungere alla realtà riproducendola, ma non arriverete mai al significato riposto all'interno di essa. Che cos'è la realtà? Come interagisce? Che relazione ha? Io non voglio piacervi, voglio imporvi me stesso.


Non si scattano fotografie; si hanno visioni. Un'opera è infinita, dura tutta la vita, si vuole riportare in superficie le cose affogate in fondo nell'anima. Le verità.


L'esigenza è corpo.

L'anima un odore.

L'esigenza della rabbia.

L'odore del sudore del corpo.

L'esigenza è l'odore.

La rabbia di un corpo.

L'esigenza è l'anima.

La rabbia di esistere.


Non si tratta di mostrare un'anima nella metafora triste della deformata realtà, quanto di liberare l'anima dall'abbrutimento che la sta deformando incarcerata nella realtà: quando la sta cercando di migliorare, cambiare da ciò che è.


La condanna non è quella di dichiararsi colpevoli o di soffrire, di rimpiangere o sapere di aver sbagliato, la condanna è di non poter dire. Ti accorgi che quando senti il sapore ferroso del sangue nelle ghiandole salivari, vuoi uscire e strapparti le catene, se non puoi parlare quella è morte interiore lenta e te ne devi andare.


La natura stessa dell'uomo sul proprio operato è sopraffatta dalla foga, perché è soffocata dalla vita, dai costumi inetti che vuole importi la comunità. Un'emotività allo stato puro, non educata, è selvaggia, senza barriere, senza freni. Non accetta confini e non li vuole, si deve mettere nella condizione più difficile, quella di essere se stessa, solo allora è libera, solo allora può creare.


Quando avviene si traduce d'istinto l'umanità. L'anarchia è il culto di se stessi. La libertà sfrenata l'unica legge a cui si deve obbedire. Sanguigna, impulsiva, rivoltosa fino a divenire monotona, pesante, affamata come un pazzo che gira disperato per le strade in cerca di vita. AAA. Cercasi! Il segno che contraddistingue le opere è l'ira della pietà.


La realtà che si sente è la realtà che comunica la sorte.


Siamo figli del tempo non marionette, si rifugge la volgarità della banalità, l'ipocrisia e il perbenismo, per rifugiarsi nel regno inalienabile dello spirito. Gli obbiettivi sono specifici, politici, lo stile è apertamente provocatorio, è polemico.


Il tempo contemplato non viene riprodotto, viene ascoltato, non visto ma percepito. L'opera non racconta, vive. Non trova, cerca. Cuce i singoli fenomeni del complesso e ne indaga i moti, i collegamenti, le conseguenze. Le anime potrebbero parlare per ore attraverso l'opera non gli occhi.


Il colore e la linea hanno vita a sé, l'opera non è un appendiabito devoto alla visione psicologica del mondo che come noi recita, ride e si muove a comando dei punti di vista creati dagli uomini, destinandogli l'uso; l'opera è una mia estroversione e mi serve per legarmi all'universo, non come automa in ciò che è comunemente accettato e concesso, ma come radice dell'albero in cerca di se stessa. Voglio essere vasto, immediato, estemporaneo e puro. Non disumano né superuomo, né codardo né forte, né valido né vile, né banale né magnifico ma Uomo e attraverso l'opera mi conosco, così come Dio è la Natura manifesta che ci ha lasciato liberi nel momento in cui siamo stati creati. Non mi do da fare a vivere, vivo. Attraverso. Non argino. Vivo. Tutto quello che sono. La calligrafia rivela l'intimo, l'opera nella sua espressione rivela chi è, cosa pensa, cosa sente un uomo!


Non voglio imparare, voglio essere. Sono incontaminato. Fare non serve a niente. Il compiuto è solo una manifestazione commerciale dell'essere, la vera opera è nella meditazione prolungata dello stratificarsi del tempo, è lì che esisto. Vola! Liberati!!


Sogni Grafici senza volto, Pier Paolo Piscopo, 50x70, 2008


Pier Paolo Piscopo

Ƹ̴Ӂ̴Ʒ

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