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Giada Paolini, al di là dell'io

Aggiornamento: 15 apr 2018


"Qui su l'arida schiena Del formidabil monte Sterminator Vesevo, La qual null'altro allegra arbor nè fiore, Tuoi cespi solitari intorno spargi, Odorata ginestra"

- Leopardi, La Ginestra, Torre del greco, 1836-



La Sacripante Art Gallery, situata al piano terra di un ex-convento del '700, in via Panisperna 59, nel cuore del rione Monti, a Roma, ha presentato ieri l''esposizione di Giada Paolini, in mostra fino al 18 aprile.


La Sacripante Art Gallery è nata dal cuore e dalle anime di Alessandro, Carlotta, Giorgia, Rossana e Giulia: insieme hanno dato vita e danno vita ad uno spazio dedicato prevalentemente alla LowbrowArt, movimento artistico sorto a Los Angeles sul finire degli anni '70. Appartenente alle arti autogestite di strada, indipendenti, popolari, questo movimento ebbe le sue radici nel surrealismo, nel fumetto umoristico, nella musica punk-rock e nelle culture hot-rod. Attinenti all'underground culturale, auto-denigratorio e foolish quanto basta, perché dai critici viene etichettata a volte come PopSurrealism. La galleria si consacra riflettendo il contenuto nel contenitore con un sapiente, calibrato mix di muri senza intonaco, bei candelabri, poltroncine di pelle e specchi bordati d’oro, liberty. Il classico ambiente che a Parigi troverebbe la sua chinoserie occidentale nei quartieri e negli stili bobo di Belville, 20° arrondissement o nell'adiacente comune di Montreuil.

Giada Paolini ha nel suo scatto un look lineare e marmoreo. Il suo universo? A metà tra il Guggenheim Museum e una sinfonia dei Nightwish è deflagrante, di forte impatto che restituisce un contorno e uno sfondo di tenebra ma poi risorge e ti schianta in faccia, al centro, la catalizzazione di una luce esplosiva. Una speranza, un po' folle, un po' sola, anti-glamour, la sua fotografia sembra stufa dell'onnipresenza dei fashionistas, s'industria per restare fuori dai codici classici, cercando di raccontare un'intera storia, dalla nascita fino a quel momento che sta per spiccare una rinascita, in un unico scatto, in un suo stile, tra il classico e il moderno.




Gli autoscatti della Paolini si notano nelle stanze, sembrano trascinarti con tutta la giovane forza e l'impeto di una ragazza dell'86, i suoi colori sono evidenziati, fosforescenti, marcati, acquei sapientemente come fatti depositare a mano o da una grondaia del tempo e poi lasciati evaporare; altre opere connotano invece un bianco e nero d'occasione, come se da un cielo illuminato e inventato fossero piovute ombre e raggi di luce e lei li avesse raccolti, raccolti e lasciati soli affinché riempissero prima i suoi occhi e poi le sue opere.

Quello che sembra, attraverso l'immagine del suo corpo, delle sue mani e del suo viso, comunicare spontaneo vi s'intravede una deposizione della monumentalità classica greca, le pose plastiche rinascimentali, tanto da farne intravedere una ricerca colta e sedimentata nel tempo; una iconica ricerca della giusta composizione, che, quando usa i suoi forti cromatismi, rilevano, come un cuneo nella realtà, una volontà d'elevazione verso l'astrattismo. Nel suo corpo è difficile non scorgervi un'ammirata Venere di Botticelli o una catapultata torma di passioni specchianti la Notte Stellata di Van Gogh. C'è voglia e desiderio di spiritualità.


Per questo ho dato inizio ricordando il Fiore del Deserto, perché come la ginestra Giada abbellisce il romito nel deserto immerso nell'abitare romano e "del perduto impero, par che col grave e taciturno aspetto faccia fede e ricordo" come amante di luoghi tristi e abbandonati, compagna di sorti avverse, rilancia diversi contesti, dando all'immagine un compito di ricordo e nuova vita e nel contempo dona al fruitore un'introspezione psicologica; le passioni, gli istinti, gli impulsi inconsci sono qui stimolati per studiarne la reazione, quali, Giada, consapevolmente attende.


La scelta tecnica e strumentale è minimal, con pochi ritocchi è eseguita autonomamente e il trucco, il vaglio degli abiti, la scenografia di sfondo alla location è tutto opera sua. Ogni foto, oltre quelle esposte, danno prova di diversi contesti in cui s'esercita ma ogni luogo è parte di un punto di vista estetico, avulso e contrastante, ponendo il suo corpo nudo come un idealismo berkeleyano sfidante e sferzante. George Berkeley, teologo e filosofo irlandese del '700 infatti optava per l'inesistenza della materia, la quale altro non sarebbe che un'estensione esteriore della mente.


La materia, il corpo non esiste, esiste solo la nostra mente che la crea sotto forma d'idea, ne esercita una visione, una causa e a volte una conseguenza, sotto forma di reazione emotiva.


L'idea allora scaturita, da quel sentimento ottenuto, guardando la materia della Paolini è non altro che un'impressione impulsiva dei sensi. La sostanza corporea quindi, non sarebbe altro che un riflesso della nostra mente, la quale la cataloga e la descrive sotto forma d'idee, a questo l'opera di questa fotografa sembra rimandare. E come la ginestra, Giada, ricorda alle umani genti la luce, la lotta comune di risorgere dai sensi.

Pier Paolo Piscopo


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