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Immagine del redattorePier Paolo Piscopo

Cambiare il Corso del fenomeno migratorio: Una Visione Innovativa per un Futuro Sostenibile.



Da un'osservazione preliminare della legge danese sull'eternalizzazione delle frontiere sul fenomeno migratorio emergono tre aspetti importanti: il viaggio, che può durare anche cinque anni in condizioni note, non è sostenibile in termini di vite umane perse. Inoltre, come secondo punto, anch'esso legato alla non sostenibilità, le risorse impiegate dallo Stato risultano sproporzionate: l'ampio sforzo messo in atto per accogliere, formare, proteggere e curare i migranti è notevolmente costoso, senza considerare i benefici, basato sull'improvvisazione, sulla quantità e sull'emergenza, e manca di programmazione, formazione e selezione adeguata delle persone.


Considerando questi due aspetti, non vedo le attuali politiche migratorie come strade umane o razionali da seguire. In questo contesto, umanità e razionalità sono indistinguibili e producono risultati analoghi. Il terzo e ultimo aspetto, non meno importante, riguarda l'integrazione, che attualmente ha una parte residuale nelle politiche in atto. Le politiche attuali sono poche, scarsamente finanziate e lo sforzo investito non è congruo per affrontare il futuro.


In primo luogo, va sottolineato che un sistema di trasferimento dei richiedenti asilo in un paese terzo dovrà essere in linea con le convenzioni internazionali sui diritti umani; pertanto, il processo legislativo dovrà tenerne conto. Tuttavia, ci sono altre preoccupazioni provenienti dai think tank occidentali: spostare la procedura di asilo in paesi terzi con risorse limitate potrebbe minare la sicurezza e il benessere dei rifugiati, mettendo a rischio i loro diritti. Inoltre, la Danimarca potrebbe innescare un effetto domino, spingendo gli altri paesi europei a limitare la migrazione alle regioni limitrofe, aumentando le tensioni interne in questi paesi. Quindi, i paesi vicini potrebbero trovarsi con un aumento delle richieste di asilo, causando ulteriori turbamenti interni. Inoltre, la legislazione danese potrebbe ostacolare gli sforzi dell'UE nell'armonizzare le frammentate normative europee sull'immigrazione e l'asilo e nell'istituire una politica migratoria comune.


È quindi possibile trarre alcune osservazioni sulla legge danese sull'Esternalizzazione delle Frontiere Immigrazione (L 226). Benché la proposta danese non sia tra le migliori, si avvicina a ciò che si dovrebbe cercare, ovvero l'ordine. Se adottiamo politiche basate su un'utopia o su ciò che immaginiamo dovrebbe essere, senza dati concreti ma solo su proiezioni speculative dei dati attuali, rischiamo di ottenere soluzioni controproducenti. D'altro canto, se adottiamo politiche orientate alla comunità, che possano anche aiutare altre comunità nella gestione del fenomeno migratorio, e se pianifichiamo per il futuro, stiamo ponendo le basi per affrontare concretamente i problemi. In politica, non ci sono soluzioni perfette, ma possiamo avvicinarci ai risultati cercando di evitare i peggiori mali attraverso una serie continua di tentativi e fallimenti.


Ora, passando alle considerazioni concrete e procedendo gradualmente nella riflessione, possiamo evitare distorsioni nel sistema e prevenire controversie elettorali, che non rientrano nel dominio intellettuale. Nell'ambito della ricerca, dovremmo esplorare strade non ancora percorse o meno consuete. Non dovremmo solo adattarci alle migliori opinioni esistenti, ma dovremmo cercare nuovi approcci.


L'esternalizzazione delle procedure di richiesta asilo non è una novità e ha sempre suscitato diverse critiche. L'implementazione si è sempre fermata di fronte alle perplessità o all'opposizione dei paesi coinvolti, mentre i centri di permanenza si sono spesso trasformati in centri di detenzione prolungata.


La proposta danese somiglia ai tentativi già visti di esternalizzare in paesi terzi non solo la gestione dei flussi migratori, ma anche l'accoglienza. Tuttavia, in paesi come il Regno Unito e l'Australia, dove questo è stato tentato (rispettivamente sull'isola di Ascensione e sulle isole di Nauru e Manus), non si è ottenuto un risultato positivo.



L'unico confine terrestre danese per contenere il fenomeno migratorio
L'unico confine danese sulla terra ferma fu fissato con il Trattato di Vienna del 1864.


Dovremmo riflettere sulla persistente ricerca di questa strada, considerando non solo la soluzione stessa che si ripresenta ripetutamente, ma anche sulla gestione complessiva dell'immigrazione così come è stata disciplinata fino ad ora. Questo sistema non ha portato risultati ottimali in termini di vite umane salvate, integrazione e spesa pubblica. Anche considerando le varie dimensioni e circostanze dei centri di permanenza, dagli esempi migliori a quelli peggiori, la media complessiva non è soddisfacente.


Le domande di asilo vengono presentate da coloro che si ritengono perseguitati per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a gruppi sociali specifici o opinioni politiche, nel proprio paese. Queste domande vengono depositate presso la Questura competente per territorio, laddove non sia presente un Ufficio di Polizia di Frontiera.


E Riconsiderare le Ambasciate come Avamposti Esterni per la Gestione delle Migrazioni?


Le ambasciate, rappresentanza diplomatica di un Paese in un altro Stato, sono punti di riferimento nevralgici per il supporto e l'assistenza, e potrebbero essere considerate degli 'avamposti esteri' nazionali. Le domande di asilo potrebbero essere presentate e processate direttamente dalle ambasciate dei Paesi le cui giurisdizioni riconoscono i diritti umani. La richiesta di permessi di protezione in centri di accoglienza gestiti dalle ambasciate, nei Paesi dove non vi sono dinieghi politici, potrebbe rappresentare una delle soluzioni dell'Unione Europea (UE) per evitare perdite di vite umane e risorse, garantendo una migliore gestione delle migrazioni.


L'idea di istituire tali centri potrebbe essere proposta all'interno delle trattative di pace promosse dalla comunità internazionale per i Paesi in stato di guerra. Questi centri, situati nelle patrie d'origine dei migranti, potrebbero essere luoghi di formazione per nuovi cittadini, preparandoli secondo gli standard linguistici, culturali, professionali e civili del Paese al quale desiderano appartenere.


Questi centri, gestiti dalle ambasciate dei Paesi di emigrazione o dall'ONU, potrebbero essere considerati non solo come corridoi umanitari, ma anche come enclave o spazi umanitari.


L'organizzazione dei centri potrebbe essere affidata a personale autoctono, selezionato e appositamente formato dalle ambasciate, per trasmettere in modo preciso i valori e i principi richiesti per far parte di una società. L'immigrazione illegale potrebbe comunque persistere, ma i numeri sarebbero nettamente ridotti.


La preparazione nel campo dell'immigrazione riveste un'importanza fondamentale. Invece di permettere a individui impreparati e improvvisati, spesso semianalfabeti, di intraprendere un viaggio rischioso con il ruolo passivo di spettatori di una selezione naturale che può sfociare in una sorta di gioco al massacro, dovremmo essere responsabili di ciò che desideriamo. Dovremmo predisporre politiche di formazione e preparazione alla cultura e ai valori del Paese ospitante.


Nel 2012, nei Paesi Bassi fu giudicata "folle" una legge che, sotto molti aspetti, avrebbe potuto rappresentare una chiave per risolvere il problema e sfruttare i benefici della migrazione. L'idea era di istituire una commissione per i mestieri che presentano carenza, formando e selezionando manodopera direttamente nel Paese d'origine. Questa legge avrebbe potuto rendere il sistema di asilo più accessibile per i profughi e alleggerire la pressione degli Stati in termini di gestione dei flussi, beneficiandone sia i Paesi europei che quelli di provenienza.


Il sistema di asilo non è applicabile a tutti. Più della metà delle richieste di asilo viene respinta. Molti non hanno praticamente alcuna possibilità. Tuttavia, continuano a presentare domande di asilo perché non hanno altre opzioni. I visti di lavoro, quando disponibili, sono limitati. Questo li costringe a rischiare la vita in viaggi della speranza alla ricerca di una vita migliore. Molti perdono la vita in tentativi disperati, sovraccaricando il sistema, arricchendo le mafie e gettando un'ombra negativa sulla migrazione, suscitando opinioni spesso contrarie nella popolazione, che pur finanzia questo sistema senza avere la possibilità di opporsi. Quest'ultimo aspetto è tutt'altro che marginale e non riguarda solo schieramenti politici non convenzionali; dobbiamo tenerlo in considerazione nella costruzione di una società, poiché avrà sempre più influenza e sarà determinante in termini di integrazione e conflitti interni, soprattutto in futuro.



Uno dei naufragi del fenomeno migratorio.
Uno dei naufragi del fenomeno migratorio.



Sarebbe forse più serio, umano e razionale preparare i cittadini stranieri secondo i nostri standard, principi e leggi. Dovremmo insegnare loro la lingua e garantire il loro benessere sanitario prima della partenza. Inoltre, potremmo cercare strategie per far sì che questi costi siano a carico degli Stati di origine, come un debito che dovrà essere ripagato attraverso contributi sulle rimesse e tramite il money-transfert.


Questa prospettiva significa non dare nulla senza ottenere nulla in cambio. Ciò consentirebbe agli interessati di risparmiare i soldi pagati alle organizzazioni criminali, oltre a far loro comprendere il valore dell'asilo o della protezione internazionale. Questo li metterebbe nella posizione di difendere ciò che hanno ottenuto, senza incorrere in comportamenti non appropriati. L'immigrazione non dovrebbe essere affrontata come un'emergenza, ma piuttosto strutturata attraverso percorsi definiti. Invece di concentrarsi solo sulla persona che emigra, dovremmo preparare anche il Paese ospitante. Chi migra e chi accoglie, fanno entrambi parte del fenomeno migratorio.


Un calo delle partenze consentirebbe di focalizzarsi maggiormente sulle sfide interne legate alle migrazioni, come la cooperazione, il dialogo e la convivenza tra le due parti, la comunità locale e i migranti. In questo modo, le politiche migratorie interne dei nostri Stati si concentrerebbero sull'educazione all'incontro e sulle sfide con cui si confrontano sia chi arriva che chi accoglie.


Un altro aspetto da considerare riguarda i finanziamenti. È importante che tali fondi non siano destinati ai Paesi in cui vengono gestite le pratiche di richiesta d'asilo, ma al personale dell'Unione Europea presente in loco. Questi fondi potrebbero poi essere distribuiti all'organico autoctono, se incaricato di formare i migranti come nuovi cittadini. La direzione dei finanziamenti non dovrebbe essere diretta, in quanto è necessario garantire che siano spesi in modo appropriato e che rispettino gli standard di diritto e preparazione che vogliamo che i nuovi cittadini raggiungano. Pertanto, la creazione di questi centri non potrebbe prescindere dal consenso dei Paesi coinvolti. L'Unione Europea ha lavorato per anni cercando di influenzare direttamente i Paesi d'origine e di transito, al fine di ridurre il numero di coloro che intraprendono viaggi irregolari. Questo dimostra che la strada è stata tracciata a livello tecnico, ma non ancora a livello politico.


Attualmente, assistiamo a una distorsione del sistema: l'Europa sta investendo ingenti risorse in politiche opposte fra loro. Da un lato, c'è l'accoglienza e l'integrazione, dall'altro si cerca di fermare e respingere. Non ci sembra strano, ma questa situazione evidenzia l'assenza di un approccio coerente. L'UE sta pagando per avere e non avere migranti contemporaneamente, lamentando l'assedio e allo stesso tempo denunciando la mancanza di accoglienza. Tuttavia, l'Unione fa ben poco per gestire questa situazione, essendo bloccata da ostacoli politici provenienti da varie direzioni.


Di fronte a qualsiasi fenomeno che richiede una disciplina, è fondamentale adottare un atteggiamento di osservazione neutrale e agire di conseguenza. Opporsi e criticare in modo non costruttivo qualsiasi azione intrapresa dalle istituzioni, incluso il sistema legislativo che rappresenta la nostra rappresentanza ufficiale, non è proficuo per raggiungere gli obiettivi e gestire il fenomeno stesso. Questo atteggiamento riflette una scarsa comprensione delle istituzioni.


L'immigrazione rappresenta un diritto in alcuni casi, sia per i migranti che per i Paesi di accoglienza. È anche un dovere e una dimostrazione di apertura nel riconoscimento dei diritti umani, della filosofia, della tolleranza e della democrazia. I Paesi che accolgono in modo inclusivo gli stranieri promuovono valori che dovrebbero essere considerati come traguardi dell'umanità. Tuttavia, spesso questo aspetto non riceve la dovuta attenzione e viene sottovalutato o considerato irrilevante nel processo di gestione del fenomeno migratorio. In realtà, la rappresentanza diplomatica e politica dell'UE nei confronti dei migranti e delle relazioni con gli altri Stati ha un ruolo importante nel contesto del soft power. L'immigrazione potrebbe rappresentare una soluzione per affrontare i problemi legati all'invecchiamento della popolazione, e la richiesta di manodopera a basso costo potrebbe contribuire a mitigare la crisi economica. Tuttavia, sembra che non sia permesso discuterne liberamente. La società contemporanea sembra evitare di considerare i rapporti di classe e agisce come se non esistessero, come se ci fosse un intento deliberato da parte di una certa élite accademica di perseguire i propri ideali, agendo come se fossero già ampiamente accettati dalla società e dovessero solo essere difesi. Invece, dovremmo concentrarci su come costruire e preparare la società a raggiungere tali ideali. Un intellettuale non è un politico che lotta per l'affermazione della propria verità, ma è un osservatore che descrive un fenomeno in modo obiettivo e propone basandosi su analisi razionali, non emotive, delle possibili azioni per guidarne il corso. L'immigrazione potrebbe rappresentare una risorsa per l'Europa, ma solo se organizzata, gestita ed ottimizzata adeguatamente.


L'istituzione di piattaforme esterne per la politica migratoria condivisa avvicinerebbe l'Unione Europea ai Paesi di provenienza, aumentando la conoscenza reciproca se non la collaborazione, almeno da un punto di vista politico. Meglio un dialogo limitato che nessuno affatto. Per sostenere quanto detto sopra, è opportuno ricordare i fallimenti degli accordi tra l'UE e la Croazia riguardanti la cooperazione transfrontaliera di polizia, così come gli accordi tra l'UE e la Turchia per gestire il flusso di rifugiati, ospitandoli nel territorio turco in cambio di sostegno finanziario. I problemi fondamentali in queste situazioni sono stati la corruzione, le condizioni disumane in cui versavano i migranti, la gestione criminale del sistema e la mancanza di rispetto per le vite umane e per gli interessi delle persone da parte di questi Paesi.


Nonostante ciò, la riduzione delle partenze è stata considerata dall'UE come l'unica soluzione praticabile. Per lo stesso motivo, l'Unione ha introdotto i "Migration Partnership Frameworks", accordi quadro con Paesi prioritari dell'Africa subsahariana (come Niger, Nigeria e Senegal), che legano parte degli aiuti europei al controllo delle migrazioni irregolari. Anche l'impegno dell'UE nell'aumentare i rimpatri dei migranti che non hanno ottenuto protezione internazionale viene ribadito annualmente, ma questi sforzi sono costosi e attualmente bloccati per mancanza di finanziamenti. Ovviamente, non ho elencato tutte le altre spese e i problemi legati a un'immigrazione non gestita o gestita con le attuali infrastrutture di accoglienza, formazione e assistenza presenti nell'UE.


In conclusione, alla luce del sintetico commento della proposta danese e delle considerazioni sul sistema di gestione dei migranti, ritengo che invece di assistere passivamente, urlando all'invasione o alla catastrofe, a seconda del punto di vista, di fronte a un fenomeno che finora sembrava inarrestabile, dovremmo considerare la possibilità di spostare il processo di trasferimento, formazione, preparazione e assistenza direttamente nei Paesi d'origine dei migranti. Dovremmo concentrarci sulla costruzione e sulla trasformazione pratica di una società che rifletta i nostri ideali, anziché difenderli in modo esclusivo e accanito. Le critiche e le analisi dovrebbero concentrarsi su come costruire e attuare azioni concrete che trasformino effettivamente la società in modo coerente con i nostri valori. Dobbiamo lavorare per disciplinare il fenomeno migratorio coinvolgendo sia i migranti che la società ospitante. Altrimenti, qualsiasi studio condotto sarà inevitabilmente inesatto e infruttuoso, poiché sarà influenzato da emozioni e schieramenti, anziché basarsi su un'analisi razionale di una realtà complessa da affrontare.






Pier Paolo Piscopo

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